Sono in un percorso che ha come meta obbligata la sordità totale. Ho la consapevolezza di non poter cambiare dall’esterno questa situazione.

L’unica possibilità che resta è l’accettazione : vivere il silenzio del mondo esterno come terreno fertile di lavoro interiore. Scoprire, decifrare quale messaggio la mia malattia e la sordità mi stanno rivelando, quali porte e visioni mi aprono.

Mio compito è riconoscere e superare l’ambiguità insita nel silenzio: silenzio come limite alla comunicazione per difetto organico e silenzio come occasione di arricchimento interiore, silenzio scelto. Quello che sto scoprendo in questi anni sulla sordità.

– Se in un contesto di persone adulte è presente un non udente o disabile il modo di comunicare deve poter cambiare. È necessario un di più di attenzione, l’attivazione di modalità di espressione, gesti, sguardi, empatia, volontà di inclusione per evitare l’emarginazione. La disattenzione, l’indifferenza, l’esclusione dalla conversazione, soprattutto in ambito familiare, ferisce, disarma, spinge ad abbandonare ogni sforzo di partecipazione e coinvolgimento. È una sconfitta della relazione, rottura di una armonia.

Alcuni esempi:

Si sta discutendo vivacemente tra due o tre persone e chiedo di che si tratta. La risposta: Non è importante!

Oppure:

Te lo spiego dopo (salvo dimenticarsene!) .

Se mando un messaggio ad una amica o figlio, la risposta arriva a mio marito anziché a me!

Se faccio domande per partecipare, alcune volte ricevo l’invito a non disturbare per non costringere a ripetere..

Le notizie vengono date a chi ha maggiore visibilità, influenza, capacità di dare un contributo concreto, veloce. Ma in questo modo viene accentuata l’irrilevanza del non udente che ferisce e mortifica l’autostima.

Parlare con chi ha problemi di udito richiede un rallentamento, fermarsi, non avere fretta, guardare in faccia l’altro: tutte condizioni di un ascolto attento, che valgono per tutti

Avere vicino una persona non udente può essere una opportunità per i cosiddetti normali ad allenare la propria mente a porsi nei panni di chi è di fronte, riconoscendone la diversità, e provando ad arricchirsi dell’apporto che l’altro può dare, se coinvolto.

Può servire a migliorare il proprio modo di comunicare, attivando tutti i mezzi che abbiamo a disposizione per entrare in empatia con gli altri. Aiuta a non mettere se e le proprie opinioni ed esigenze al centro per lasciare spazio all’altro.

Un ascolto vero, profondo può’ cambiarci; non siamo più quelli di prima, qualcosa di nuovo, del mondo intimo dell’altra persona è entrato in noi.

Per il non udente la sfida consiste nel passare dalla rassegnazione passiva, giudicante, dal vittimismo( nessuno mi capisce) ad un atteggiamento attivo: segnalare con tatto, senza stancarsi, il proprio disagio e il desiderio di partecipare.

Essere consapevole del proprio diritto ad essere incluso, ma nello stesso tempo non arroccarsi in posizioni di continua attesa o pretesa alla comprensione altrui.

Accettare qualcosa che non può essere cambiato, coltivando il non attaccamento all’attenzione degli altri, fonte di inquietudine, Non enfatizzare l’importanza del partecipare a tutti i costi.

Ridimensionare il proprio ego ansioso spesso di visibilità e protagonismo. Non giudicare..

L.N.

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